Quando assisto alla genesi di una scultura come questa non posso fare a meno di pensare alla poetica di Michelangelo, per il quale la scultura era da intendersi solo quell’arte che “… si fa per forza di levare, [essendo] quella che si fa per via di porre simile alla pittura” .
Le sculture di Alberto non aggiungono nulla, consapevoli che al mondo non c’è bisogno di più materia di quanta già ce ne sia.
Il non detto non necessita di essere espresso, il non fatto può essere azione potente..
Le sculture di Alberto “tolgono”, eliminano tutto il superfluo per arrivare all’essenziale, che spesso fa male: in esse la materia non viene plasmata, non è modellata, ma è essa stessa ferita, il dolore essendo l’unico linguaggio che conosce.
Il lavoro è eseguito dall’esterno verso l’interno e una volta tolto un pezzo dalla massa originale esso non può più essere messo a posto. Riuscire a non eliminare parti essenziali diventa allora di vitale importanza.
C’è ancora un po’ da levare qui ancora, ma si riesce comunque a intravedere ciò che a breve l’artista partorirà.
[anto]